Diario
19 febbraio 2008
PER UNA COSMOLOGIA DELLA CREAZIONE
La crisi del pensiero scientifico che si produsse a cavallo degli inizi
del secolo di cui noi stiamo vivendo gli estremi scorci rappresentò,
nell'evoluzione moderna delle scienze positive - ma non solo in quelle,
potremmo aggiungere - un rivolgimento di coscienza da potersi solo
confrontare con la tremenda bufera che insanguinò la storia degli uomini e
dei loro idealismi, all'epoca della rivoluzione francese, esattamente un
secolo prima. Può darsi che, in futuro, vorremo occuparci su queste pagine
del maestoso travaglio attraverso il quale la scienza laica e
deterministica - nata dalla ferrea logica di un genio della teoria, Isacco
Newton, e dalla intraprendente lucidità di un consumato sperimentatore,
Galileo Galilei - ebbe a partorire, a sua volta, i propri numerosi e
recalcitranti rampolli: la Relatività speciale, la Meccanica Quantistica,
la Relatività Generale, il Principio d'Indeterminazione
(1). Per ora,
intendiamo limitarci a portare il discorso su quella che, in fondo, nel
campo astronomico, può ben venir considerata la più imbarazzante
implicazione. Contro la ferma convinzione di aver sempre vanificato lo
spauracchio del dogma riguardante ogni indimostrato atto creativo per
l'Universo, ecco infatti che, Con la caduta irrimediabile dei Concetti di
assolutezza e di autonomia dello spazio e del tempo, e sotto l'inesorabile
spinta delle prove sperimentali e del calcolo, la scienza è stata
costretta a prender di nuovo atto dell'esigenza di limitare l'eternità
apponendole un istante iniziale, sì che il tremendo compito di dover in
qualche modo «spiegare» la creazione del Cosmo si è oggi affermato Con
tale irriducibile evidenza da esser giunto a costituire, forse, il
principale - se non unico - banco di prova sul quale hanno agio di
confrontarsi le più promettenti teorie di fisica interdisciplinare. Quello
che fu, molto presumibilmente, lo scenario offerto dall'Universo nel corso
delle sue ère più remote; la circostanza indiscussa per la quale,
risalendo fin alle primissime epoche cosmiche, la materia e la radiazione
dovettero presentarsi in una correlazione reciproca ben diversa da quella
che noi oggi riscontriamo fra di esse; l'inevitabile conseguenza che, alle
sempre più ridotte dimensioni della propria scala metrica, l'Universo sia
andato pervadendosi di energie progressivamente crescenti fino al
raggiungimento del supremo limite rappresentato dall'indistinta miscela di
fotoni, quarks, neutrini, elettroni, con la quale le attuali teorie
ritengono di descrivere le componenti elementari della realtà fisica;
tutto questo è stato da noi stessi accennato in un precedente servizio nel
quale, altresì, veniva adombrato un assai peculiare modo di intendere il
comportamento fisico assunto dalla natura in relazione alla presenza
stessa dell'uomo (2). Nel suddetto articolo, le vicende che si ritiene
abbiano accompagnato il verificarsi del
big-bang
cosmico furono
tratteggiate nelle loro linee essenziali. Il lettore che lo desideri, vi
troverà comunque uno scenario che, ormai, può definirsi «classico. a tutti
gli effetti, in quanto le condizioni che esso esprime sono soltanto quelle
deducibili dalla rigorosa applicazione della Relatività Generale e della
Elettrodinamica Quantistica alle interazioni fra particelle. L'adeguatezza
di codeste teorie, andando a ritroso nel tempo, non si estende però al di
là dei primi 10-35
secondi, allorché l'Universo non aveva presumibilmente raggiunto le
dimensioni di un nucleone (3), e la sua densità d'energia si aggirava
intorno ai 1019
milioni di elettron per Volt per centimetro cubo: è a questo punto che si
comincia a parlare di
singolarità fisica
dell'istante iniziale, e
che si pone il grave quesito della «creazione». Tuttavia, i fisici
ritengono che, se si pensa all'Universo come ad un complesso autonomo ed
autoconsistente - il cronotopo - nel quale la comune metrica dello spazio
e del tempo debba apparire fisicamente interconnessa, allora l'adozione di
un'adeguata teoria microscopica dovrebbe finir col far svanire il problema
dell'inizio del tempo (e dello spazio) riducendolo in tutto ad un «falso»
problema.
Sotto questo
punto di vista, diviene possibile che la pretesa singolarità dell'inizio
cosmico non vada considerata come qualcosa di più «singolare» - ad esempio
- dei poli della Terra ove, appunto, le coordinate geografiche svaniscono
senza che, per questo, la perfetta equivalenza di quei punti a tutti gli
altri ne venga minimamente inficiata. In altri termini, appare più
razionale scorgere in ogni singolarità fisica altrettanti elementi di
debolezza della teoria applicata, piuttosto che una reale, strana
proprietà della natura. E perciò, parlare di un atto creativo per
l'Universo - nella comune accezione del termine - è cosa legittima solo se
la si pensa riferita ad una ben separata individualità spaziale e
temporale, giacche - nel nostro mondo sperimentale - sappiamo ben
distinguere fra queste due componenti del cronotopo.
Ma allorché, nei primissimi istanti, la realtà
cosmica fu rappresentata da condizioni fisiche eccezionali e
peculiarissime, diviene plausibile supporre che la differenziazione dei
ruoli fra lo spazio e il tempo non fosse ancora un fatto acquisito, almeno
in modo stabile. Di conseguenza, il voler estendere a quelle condizioni le
leggi relativistiche della gravitazione può essere un non senso; come un
non senso diviene il significato di tempo cronologico, avanti che tale
ente fosse emerso dall'indistinto crogiolo del cosmo.
Non si può
pretendere di trovare qualcosa «più a nord del polo nord» ma bisogna,
piuttosto, abolire il concetto convenzionale di polo nord.
Nondimeno esistono - oltre a
quella inerente la singolarità iniziale - numerose altre problematiche che
la cosmo- logia classica del
big-bang
non si è dimostrata in grado
di giustificare. Una di esse - e, forse, la più grave - è connessa
all'aspetto perfettamente uniforme, isotropo e omogeneo che, su
grandissima scala, l'Universo oggi esibisce. È vero che il fluido cosmico,
oltre che in materia diffusa e radiazione di fondo, appare oggi aggregato
in ammassi di stelle, in galassie e, anche, in ammassi e superammassi di
galassie; però nel complesso la distribuzione della materia e della
radiazione, nello spazio in espansione, obbedisce - entro qualche parte su
diecimila - ad una rigorosa parvenza di omogeneità che deve pur aver avuto
una qualche remota motivazione.
Tutti i
cosmologi sono concordi nel far risalire i meccanismi germinativi delle
galassie, e delle loro associazioni, all'evoluzione di indispensabili
inomogeneità iniziali presenti nel fluido cosmologico. Quello che non si
comprende bene è come sia stato possibile, in uno spazio in espansione
decelerata, che i processi accompagnanti la condensazione delle galassie
possano essersi svolti con le stesse, identiche modalità e risultati in
ogni angolo dell'Universo.
Di sicuro,
ad una determinata epoca del passato, l'espansione procedette ad un tasso
talmente alto da imprimere alle diverse parti del cronotopo recessioni
reciproche più rapide della velocità stessa della luce. Poiché nessuna
relazione materiale, o radiativa, può intercorrere fra osservatori posti
in moto relativo superluminale, ne viene di conseguenza che qualunque
siano stati i meccanismi che hanno agito sulle inomogeneità cosmologiche
delle prime età - radiazione fotonica o, come meglio si ritiene,
radiazione neutrinica (4) - essi non ebbero facoltà di agire
simultaneamente su tutto il fluido cosmologico, ma avrebbero bensì potuto
agire entro «orizzonti. circoscritti di spazio». Il
problema
dell'orizzonte
è, per l'appunto, una seconda assillante difficoltà
concettuale che, nella visione cosmologica classica, va ad affiancare
quella della
singolarità iniziale.
Un terzo
motivo di perplessità i cosmologi lo ritrovano nella circostanza che, a
dispetto dei più accaniti e rigorosi sondaggi in profondità nello spazio,
non è possibile dedurre se le galassie vanno addensandosi, in numero,
seguendo leggi prospettiche diverse da quelle imposte dalla geometria
euclidea la quale, com' è noto, è atta a descrivere quello che
convenzionalmente viene definito «spazio piatto»O «a curvatura nulla».
È anche noto
che - nell'interpretazione relativistica della Gravità - c'è da supporre
che la geometria generale dell'Universo sia strettamente condizionata
dall'entità del complesso ponderale e radiativo del fluido cosmologico.
Pertanto, la geometria generale del continuo spazio-temporale risulterà
«aperta» o «chiusa» a seconda che il contenuto del Cosmo eserciti una
minore o maggiore azione gravitazionale, col risultato di frenare nel
tempo, e con efficacia proporzionale, lo stesso tasso di espansione
(5).
Il futuro che ci attende -
espansione illimitata, o raggiungimento di una massima dilatazione di
scala seguita poi da una fase di collasso progressivo - è legato, dunque,
all'entità del contenuto cosmico; purtroppo, finora nessuno ha potuto
dedurre per via sperimentale qualcosa di certo - in un senso o nell'altro
- poiché tutte le apparenze suggeriscono che il cronotopo sia da
considerarsi pressoché piatto, e posto in dilatazione alla medesima,
identica velocità di fuga stabilita dall'intensità del campo
gravitazionale complessivo.
In questa
singolare coincidenza, fra l'altro, rintracciammo un elemento a favore del
Principio Antropico; e in effetti è indubbio che una curvatura zero
da attribuire alla geometria dell'Universo debba rappresentare un buon
rompicapo per i cosmologi i quali lo considerano oggi un problema molto
serio, che è appunto definito il
problema della curvatura.
E c'è di
più.
Maneggiando
le loro equazioni, agli studiosi è stato giocoforza constatare che il
bilancio dell'energia presumibilmente dissipata nel passato dall'Universo
non torna con quella che oggi è possibile constatare. L 'Universo, in
qualità di sistema fisico autonomo in evoluzione - in ossequio alla 3a
legge della termodinamica - stimola il proprio contenuto energetico
potenziale a trasformarsi in forme non ulteriormente degradabili (ad
esempio, producendo calore, o radiazione); tuttavia i dati sperimentali
hanno accertato che, sotto tali forme, esiste una quantità d'energia
considerevolmente più alta di quanta sarebbe lecito aspettarsi dai
processi di spianamento delle disomogeneità cosmologiche originarie
(6).
Anche sotto
questa particolare angolazione, la teoria «classica» del
big-bang
non sembra in grado di offrire le necessarie garanzie quantitative.
Esiste
dunque, - e il lettore se ne sarà ben persuaso - più di una motivazione
per ritenere che la situazione, all'atto della grande esplosione iniziale,
non fosse esattamente quella che è prevedibile adottando in modo esclusivo
i criteri della Relatività Generale.
Gli studiosi sono oggi orientati ad
ottenere gli avalli concettuali indispensabili ad una descrizione
completa ed affidabile degli istanti che presiedettero all' emersione
del Cosmo andandoli a ricercare nel- l'ambito della moderna fisica delle
altissime energie, e nelle più promettenti teorie unificatrici.
oDio non gioca ai dadi» era l'aforisma
prediletto da Einstein per affermare il proprio scetticismo nei
confronti delle teorie indeterministiche, allora emergenti. D'altra
parte, concetti come quelli evidenziati dall'Heisenberg sul fatto che
ogni operazione sperimentale perturba lo sperimentabile, impedendone di
necessità la rigorosa determinazione delle proprietà dinamiche e
topologiche, si sono manifestati fondamentali nell'analisi dei fenomeni
microscopici.
|
Le teorie indeterministiche hanno
consentito una trattazione originalissima delle relazioni fra particelle
con l'associare, a ciascuna di esse, la doppia identità di corpuscolo e di
onda di probabilità
(7). In questa chiave, si sono resi
perfettamente descrivibili gli orbitali elettronici che circondano i
nuclei degli atomi, le proprietà spettroscopiche degli elementi, e tutto
quel complesso di interazioni fra particelle che si manifestano attraverso
le quattro forze fondamentali, fonte e ragione della multiforme varietà
del mondo naturale.
La concezione relativistica della
gravitazione rappresenta, in realtà, un'interpretazione pura- mente
geometrica delle proprietà del cronotopo. Essa si adatta in modo perfetto
ai fenomeni che si svolgono su scala cosmica e, comunque, macroscopica.
Non è concepibile - né ragionevole - continuare ad intenderla
insostituibile allorché si vanno a considerare situazioni fisiche nelle
quali le ragioni su cui poggiano le teorie di unificazione delle forze, e
i principi indeterministici, assumono una netta prevalenza.
La dimostrazione che i differenti ruoli
giocati attualmente dalle forze fondamentali - la forza elettromagnetica,
la forza debole, la forza nucleare e la forza gravitazionale - è il
prodotto del progressivo decadimento energetico conseguito all'espansione
dell'Universo, costituisce oggi una verità che ben pochi sarebbero
disposti a confutare. La recente prova dell'unificabilità, a circa 100 GeV
(milioni di elettronvolt) di energia, delle prime due interazioni - che
sono le meno intense, in quanto esse presiedono rispettivamente
all'elettromagnetismo ed alle relazioni fra elettroni e fra neutrini - ha
condotto a riconoscere nella
forza elettrodebole
l'unico partner da
affiancare ormai alla gravità ed alle forze nucleari
(8). Le teorie prevedono però che non siano
necessari meno di 1014 GeV perché
possa verificarsi la confluenza della forza elettrodebole in quella
nucleare: a questo tipo più semplificato di descrizione stanno tentando di
pervenire i filoni attualissimi di ricerca che hanno dato nascita alla
Cromodinamica Quantistica
e che prevedono, fra l'altro, l'esistenza
dei quarks e l'instabilità del protone.
Mai sarà concesso agli uomini di
realizzare macchine tanto potenti da raggiungere le medesime soglie
energetiche alle quali indubbiamente l'Universo pervenne al momento in cui
la sua età non superava i 10-34
secondi di tempo, e le sue dimensioni erano di ben 20 ordini di grandezza
al di sotto di quelle di un protone!
La migliore prova - e l'unica possibile, d'altronde
- alla giustezza delle teorie unificatrici delle forze, oggi di moda, può
provenire, dunque, soltanto dal Cosmo dei primissimi istanti attraverso
un'adeguata strategia di verifica delle proprietà fenomeniche che lo
stesso Cosmo attualmente manifesta. |
L 'antico sogno di Einstein di riuscire a giungere ed una trattazione
unificata della forza di gravità -la più debole, ma a raggio d'azione
illimitato - con tutte le altre si basava su di una tattica estensiva
dell'interpretazione geometrica del cronotopo, simile concettualmente a
quella che aveva dato i fruttuosissimi risultati della Relatività Generale.
Lo scienziato di Ulm intendeva, in sostanza, ricondurre le forze alla
Gravità, prescindendo peraltro da qualsiasi considerazione energetica.
La tattica adottata dai fisici delle alte
energie si è dimostrata diversa in quanto, tenendo conto dell'influenza con
la quale l'energia può agire sui caratteri distintivi delle particelle, essa
ha consentito di prospettare una trattazione nella quale l'esistenza di
un'unica «superparticella» è in grado di dar luogo, volta a volta, a tutte
le proprietà quantistiche che caratterizzano l'attuale, pletorico zoo di
particelle note, In una superparticella confluisce dunque anche il previsto
gravitane
delle teorie quantistiche della gravità, in perfetta
simmetria dì comportamento nei confronti di tutte le interazioni naturali
(9).
La gravità viene, in tal modo, assorbita
dalla teoria unificatrice, e non viceversa; essa finisce col
perdere i propri connotati peculiari cosicché la teoria stessa porta il
nome di
Supersimmetria
e, anche, di
Supergravità.
La trattazione matematica si è dimostrata, da parte sua, elegante e
convincente nel suggerire che la migliore validità della Supersimmetria la
si ritrova inquadrandola in uno spazio ausiliario dotato di 11 dimensioni,
fra le quali, naturalmente, vi è la coordinata temporale. Le implicazioni,
per la parte cosmologica, di un simile modo di vedere, sono veramente
cospicue: se ci fu un'epoca nella quale la densità d'energia dell'Universo
fu abbastanza alta da raggiungere i 1019 GeV per cmc, allora si verificò di
certo uno stato di perfetta supersimmetria cosmica richiedente uno spazio
11-dimensionale, nel quale la forza di gravità, come interazione tipica,
scomparve e il tempo perse il proprio ruolo distintivo nei confronti delle
altre dimensioni.
In assenza dì gravità, l'Universo del momento rappresentò qualcosa di
profondamente diverso dallo scenario che è descrivibile con la Relatività
Generale poiché in esso, fra l'altro, qualsiasi proprietà ponderale non
aveva ancora assunto significato. Prima dei 10-35 secondi dì età, pare che
il Cosmo fosse esclusivamente pervaso di energia. Energia resa oltremodo
addensata, a causa dell' estrema limitatezza della scala dimensionale che si
aggirava intorno a quella (10-23 cm!) per la quale - a norma di alcune
dimostrazioni dovute, a suo tempo, al Planck - si deve ammettere che le
influenze indeterministiche divengono nettamente prevalenti
(10).
In sostanza, lo scenario dell'affioramento
del cosmo, offre la visione di uno spazio pluridimensionale pervaso da onde
di probabilità occultanti le superparticelle delle teorie di unificazione.
Quest'ultime non possono dirsi ancora
reali,
dato che è privo di
senso assegnar loro una qualsiasi individualità duratura tranne quella,
peraltro effimera, che potrebbe conseguire dalle istantanee presenze della
coordinata temporale nel continuo rimescolamento dei ruoli dimensionali
provocato dalle fluttuazioni quantistiche dell'iperspazio.
Il Cosmo, prima dell'evento drammatico che
lo avrebbe reso manifesto nel tempo e nello spazio a noi familiare, costituì
dunque una «concentrazione di energia probabilistica» governata in
modo esclusivo dalle leggi di indeterminazione. Non esisteva materia pesante
nel senso comune del termine e, di conseguenza, l'iperspazio era da
considerarsi «vuoto» .
Ma - e il lettore lo comprenderà benissimo -
si trattava, per la verità, di un vuoto assai strano giacché l'energia
contenuta lo rendeva altamente instabile e, alla stregua di qualsiasi
sistema fisico autonomo, il Cosmo, prima della «creazione», tendeva in modo
irresistibile a raggiungere i più bassi livelli energetici possibili.
È ormai una decina d'anni che fra gli
astrofisici circola una nuova teoria cosmologica la cui sistematizzazione
definitiva è dovuta allo statunitense Alan Guth: si tratta della cosiddetta
Teoria Inflazionaria
(11), Nella sostanza, la teoria afferma che il
decremento energetico dell'Universo ebbe luogo, ad un determinato momento,
grazie all'inevitabile rottura della supersimmetria fisica preesistente.
Fu un evento esplosivo, apocalittico, in un certo senso affine al
congelamento istantaneo di un grande lago superraffreddato. Il decadere
della perfetta equivalenza dei ruoli provocò l'istantanea separazione del
tempo dalle coordinate spaziali, e ciò fu motivo sufficiente per rendere
duratura I 'Influenza delle superparticelle le quali, da virtuali, si
tramutarono in particelle reali dotate di inconfondibili proprietà
ponderali.
Da quell'istante, la forza gravitazionale
acquistò significato e l'Universo cessò di essere governato dalle leggi
indeterministiche.
La Teoria Inflazionaria si è
ripromessa di analizzare in dettaglio codesto singolare meccanismo di
trasformazione. Essa fa vedere che il solo modo possibile per ridurre
l'energia di natura indeterministica che lo permeava, l'Universo lo conseguì
attraverso
l'inflazione
ovvero la dilatazione imponente delle proprie
dimensioni che, in maniera pressoché istantanea, si trovarono accresciute di
almeno 50 ordini di grandezza!
Ma la mostruosa enfiagione del corpo cosmico
non poteva venir condivisa integralmente dalla molteplicità dimensionale
della metrica, in quanto la teoria afferma che, requisito essenziale per la
realizzazione di uno stato supersimmetrico è che le previste 11 dimensioni
(compreso il tempo) si comportino in modo reciprocamente identico. La
differenziazione delle proprietà precipue della coordinata temporale da
quelle spaziali fu dunque una delle conseguenze ineluttabile della perdita
della supersimmetria. L' evento comportò la nascita del tempo e rappresentò
il vero atto della «creazione» nel senso che comunemente siamo soliti
intendere. Ma non basta.
Il nostro mondo ci si mostra mediante solo
tre dimensioni spaziali. E le altre? Esistono al- cune opinioni in proposito
per dimostrare l'impossibilità che le metriche supplementari abbiano potuto
condividere, nel cronotopo, l'impressionante dilatazione di scala subita
dalle altre quattro. La perdita subitanea della supersimmetria coinvolse
necessariamente anche la rottura di equivalenza con le restanti dimensioni
spaziali poiché, in caso contrario, la forza di gravità - che agisce sulle
masse - non si sarebbe differenziata dal complesso delle altre forze, che
agiscono sulle cariche.
Di conseguenza, come una corda la quale - se
si prescinde dallo spessore - ci appare un ente monodimensionale lineare, è
possibile che noi viviamo in una realtà nella quale la presenza delle altre
dimensioni ci sfugge grazie all'estrema esiguità della loro scala, rimasta
immersa - è da supporre - nelle fluttuazioni indeterministiche della fase
preinflattiva. Dunque, l'èra adronica, leptonica, fotonica e barionica
dell'Universo, debbono considerarsi precedute, tutte, da due altre ere di
genere particolarissimo, assegnate dalle più recenti teorie: l'era dello
stato
supersimmelrico
e
l'èra inflattiva
(12).
Le stesse teorie fanno poi vedere che, a
causa delle fluttuazioni originarie dell'iperspazio 11-dimensionale, la
perdita della simmetria non procedette in modo rigorosamente simultaneo. Al
contrario, è presumibile che - a somiglianza del processo di congelamento
progressivo di un liquido il quale lascia intravedere grumi di
cristallazione avviata in seno al liquido ancora sopraffuso - si sia creata
un
molteplicità di cronotopi
a simmetria spezzata che finirono poi
per evolvere, ciascuno in modo autonomo.
C'è da riconoscere che la Teoria Inflattiva
si presta in modo sorprendente alla soluzione dei diversi problemi
cosmologici che angustiano la concezione «classica» del
big-bang.
In
primo luogo, con l'attribuire un processo di dilatazione molto spinta alla
metrica del cronotopo si rende comprensibile il fatto che la curvatura
geometrica di quest'ultimo possa, ora, risulta- re inapprezzabile, allo
stesso modo che la superficie di un pallone si appiattisce al crescere della
dilatazione del suo volume.
In secondo luogo, l'imbarazzante quesito
consistente nella notevole quantità d'energia dissipata dall'Universo trova
anch'esso la propria giustificazione, giacche tale energia non fu fornita,
come si presumeva, dai processi che avviarono, a loro tempo, la
condensazione delle galassie, ma piuttosto ebbe origine attraverso
l'imponente liberazione dell'energia quantistica dello stato
preinflazionario.
Terza, e ultima considerazione: la
prospettiva che il cronotopo che identifica il
nostro
universo sia
solo uno dei tanti domini distaccatisi all'atto della rottura delle
simmetrie originarie, elimina il problema dell'«orizzonte», in altre parole,
elimina la necessità di ricercare pretese connessioni fisiche di
causa-effetto fra domini, dato che ciascuno di essi può venir riguardato
alla stregua di un «buco-nero», privo definitivamente di qualsiasi attinenza
con gli altri (13).
Da questa considerazione emerge la
possibilità di imporre un limite superiore alle dimensioni del nostro
universo particolare: affinché esso si sia mantenuto causalmente connesso
durante tutta la propria esistenza è necessario che la radiazione luminosa
l'abbia costantemente pervaso. Perciò la sua estensione non può risultare
maggiore di 20 miliardi di anni luce, che rappresenta all'incirca lo spazio
entro il quale i Cotoni della luce hanno potuto diffondersi, a partire dal
termine della fase inflattiva. Tale spazio viene a rappresentare perciò
anche il campo di validità delle nostre leggi fisiche: per gli altri domini
spazio-temporali le cose non andrebbero necessariamente allo stesso modo,
mancando per essi, come si è detto, qualsiasi connessione causale reciproca
col nostro.
E, a questo proposito, è opportuno
evidenziare la specifica qualità della Teoria Inflattiva nel ridefinire il
Principio Antropico dell'universo. Se il Principio Antropico - considerata
l'inammissibilità di ricercar cause efficienti al di fuori dell'Universo -
si ripromette, nella sostanza, una giustificazione «a posteriori» delle
leggi che reggono la fisica, invocando - a spiegarne la razionalità - una
sorta di effetto di retroazione temporale da addebitare agli stessi
risultati dell' evoluzione cosmica, la teoria del Guth, dal canto suo, si
presta ad interpretare nel modo più semplice il quesito «perché l'Universo
ci appare razionale?».
La risposta potremmo rinvenirla nel fatto
che noi - organismi intellettivi - non siamo, in fondo, che il prodotto
evolutivo di un dominio spazio-temporale «giusto»; il risultato, cioè, di
una selezione probabilistica che potrebbe aver disseminato un numero
sterminato di «universi paralleli» dotati di leggi di governo assai
dissimili e, pertanto, non intelligibili alla nostra razionalità.
Giunti all' epilogo di questa nostra
dissertazione, vale la pena di riconoscere che le risorse umane destinate al
necessario cimento dei numerosi quesiti che le teorie correnti si stanno
ponendo, sono tutt'altro che adeguate alla bisogna. Esse, con ogni
verosimiglianza, non lo saranno nemmeno in futuro, considerati gli scarsi
livelli energetici raggiunti dagli attuali acceleratori di particelle, le
armi più valide che consentano al ricercatore di demolir la materia onde
esaminarne l'intima struttura (14).
Alla fin fine, va riconosciuto che lo stato
Cosmologico di super densità, a livelli energetici incredibilmente alti, ed
a dimensioni infinitamente piccole - quello stato che, in altri termini e
sotto altre concezioni, veniva considerato un'indesiderata singolarità
fisica, in quanto non suscettibile di descrizione da parte delle
«normali» leggi di natura - si presenta, in fondo, al cosmologo d'oggi,
sotto il lusinghiero apparato di un insieme di condizioni assai significanti
che la forza delle teorie a disposizione può dimostrarsi in grado di
interpretare.
E con ciò, si spera esorcizzato una volta
per tutte il qualunque senso d'inquietudine riesca ancora ad emanare dal
discorso intorno all'attimo famigerato in cui l'Universo emerse col proprio
tempo e con il proprio spazio. Vincenzo Croce
pubblicato per la prima volta in "Abstracta" n° 30, Ottobre 1988
Fiat Lux
| inviato da houseofMaedhros il 19/2/2008 alle 8:35 | |
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